Piero Bianucci è uno scrittore,
giornalista e divulgatore scientifico italiano. Editorialista de “La Stampa”, ha contribuito a fondare e
ha diretto per 25 anni il settimanale “Tuttoscienze”.
Ha scritto una trentina di saggi divulgativi, molti dei quali dedicati all’astronomia.
Già docente a contratto di Comunicazione Scientifica all'Università di
Torino, ora insegna in un Master post-laurea dell'Università di Padova.
Nel 1992 la Commissione dell’Unione
Astronomica Internazionale (Cambridge, Usa) che battezza i nuovi corpi
celesti, ha assegnato il nome «Bianucci» al pianetino n. 4821, scoperto nel
1986 da Walter Ferreri presso l’Osservatorio Australe Europeo, in Cile.
È stato alla guida di molte organizzazioni museali e divulgative, tra
queste segnaliamo l’incarico di presidente del Planetario di Torino INIFINI.TO.
Cura il mensile "Le Stelle",
fondato da Margherita Hack.
Nel corso della sua carriera ha vinto numerosi premi scientifici e
culturali. Ulteriori informazioni sul suo sito ufficiale all’indirizzo www.pierobianucci.it
(Nella foto Piero Bianucci nel suo studio – Credit photo Emmanuele
Macaluso)
Non capita tutti i giorni di
essere ricevuti da uno dei massimi esponenti della divulgazione scientifica italiana. Per chi svolge questa attività
con dedizione e passione, un incontro come quello di oggi ha un valore intenso.
Piero Bianucci ci accoglie nel suo
studio per condividere aneddoti ed esperienze.
D. Come è iniziata la sua attività di divulgatore scientifico?
R. Ho iniziato come giornalista
alla “Gazzetta del Popolo” nel 1967.
Il mio maestro è stato Monsignor Cottino,
che nonostante la sua appartenenza religiosa mi ha permesso di mantenere una
mia visione laica del mondo e della professione. In quel frangente ho potuto
apprezzare e imparare tutte le attività che sono dietro la pubblicazione di un
giornale. Successivamente ho cominciato a scrivere per “La Stampa”. Alla fine degli anni ’60, lo spazio è stato un vero e proprio spartiacque e ha segnato a tutti
gli effetti la nascita della divulgazione
e del giornalismo scientifico. Per
la prima volta, sulle prime pagine dei quotidiani non si parlava solo di
politica (soprattutto quella interna), ma di esplorazione spaziale e scienza.
Una divulgazione diversa da
quella che conosciamo oggi, decisamente più semplice, meno approfondita e
tecnica. Forse anche più ingenua. In un primo momento non amplificata da
specialisti, ma da giornalisti prestati alla scienza. In quel periodo ho potuto
vedere all’opera uno dei padri della divulgazione scientifica italiana: Didimo.
Didimo era lo pseudonimo di Rinaldo De Benedetti. Era un
giornalista di origine ebraica, che per questa ragione non aveva accettato di
tesserarsi e aderire al fascismo. Ha lavorato celandosi dietro pseudonimo e “in
nero” presso la Garzanti, dando un
grande impulso alla nascita della divulgazione
giornalistica nel nostro Paese. Ha scritto per “La Stampa” fino al 1995, e
lo ha fatto sempre con grande lucidità, fino alla sua morte. È stato un esempio
per tutti i giovani cronisti e ha segnato la professione di molti di noi.
Il mio primo articolo da divulgatore, fu pubblicato in taglio
basso, in terza pagina intorno all’otto – nove agosto, agli inizi degli anni
’70. L’articolo era dedicato a quelle che comunemente vengono chiamate “Lacrime di san Lorenzo”. Ho scritto il
testo spiegando il fenomeno scientifico e raccontando delle 4000 tonnellate di
roccia che entrando nell’atmosfera creano
quelle scie luminescenti.
La mia prima pubblicazione –
intesa come libro – è curiosamente avvenuta grazie a Peter Kolosimo, noto sostenitore delle pseudoscienze e vincitore
del Premio Bancarella. Mi mise in
contatto con la casa editrice con la quale pubblicava a Milano: la Sugar. La Sugar ai tempi era di
proprietà del marito di Caterina Caselli.
Fu così che nel 1975 venne dato alle stampe il mio primo saggio intitolato “Universo senza confini”. Un libro che,
nonostante il ruolo di Kolosimo nel creare in contatto con la Sugar, ovviamente
aveva un taglio assolutamente scientifico. Per accentuare la distanza dalle
pseudoscienze, pur mantenendo viva la mia gratitudine verso Peter per
quell’opportunità, la prefazione fu affidata a Mario Girolamo Fracastoro,
direttore dell’Osservatorio Astronomico
di Torino.
D. Come ha visto evolvere, nel corso della sua lunga carriera, la
divulgazione scientifica?
R. All’inizio della mia carriera,
le persone molto spesso entravano in contatto con la notizia attraverso la
televisione e si formavano un’opinione leggendo i giornali. La radio aveva
ancora un ruolo importante, ma in termini di importanza veniva dopo i giornali
e la TV. Il vero approfondimento era ad appannaggio della carta stampata.
Ora i canali di divulgazione sono
di più. Ognuno di noi può avere un’opinione e ne può diventare fonte. Questo
rende il lavoro di ricerca per chi vuole fare divulgazione più difficile. In
più c’è un altro fattore da aggiungere, infatti oggi il tempo medio di
attenzione sul web è di soli 25/30 secondi. Fare un ragionamento è diventato
complicato. Da questo punto di vista i blog hanno una loro efficacia se si dà
per scontato che chi digita l’indirizzo di un blog vuole approfondire ed
entrare più a fondo nell’argomento.
D. Molti dei suoi lavori sono dedicati all’astronomia, come nasce
questo suo interesse?
R. La passione per l’astronomia nasce dal piacere di vedere
il cielo e di imparare che ho avuto fin
dalla giovane età. Avevo un binocolo con il quale guardavo tutto ciò che era
osservabile. La lettura di molti libri di astronomia e il momento storico con
le grandi imprese spaziali hanno
alimentato il mio interesse e la mia passione fino a farne una professione.
D. Come ha vissuto, nel luglio del 1969, l’allunaggio dell’Apollo 11?
R. Ero stato mandato dal giornale
fuori Torino, per seguire l’allunaggio
insieme ai fratelli Achille e Giovanni Battista Judica Cordiglia, presso la sede dove, tramite le onde radio, ascoltavano
i segnali dallo spazio. Gli Judica Cordiglia erano particolarmente noti alle
cronache del tempo per la loro attività radio nel monitoraggio delle attività
spaziali americane e sovietiche.
Ho passato quei momenti in una
stanza al piano inferiore rispetto alla sala radio, dove quella sera non
entrai. Ogni tanto i fratelli Judica Cordiglia scendevano e ci davano delle
indicazioni su quello che stava succedendo:«Si stanno avvicinando», «Hanno
allunato» ecc.
Ero insieme ad una ventina di
persone e non avevamo un televisore
per seguire l’allunaggio come stava
facendo praticamente tutto il mondo in quel momento. Ho vissuto quella serata
attraverso il “diaframma” dei due fratelli e prendendo le impressioni degli
altri giornalisti e del pubblico
presente in sala.
Rividi le immagini
dell’allunaggio nelle ore successive.
Mi tolsi qualche soddisfazione in
più vent’anni dopo, nel giugno del 1989, in un Teatro Colosseo gremito da 1400 persone, a Torino. In vista delle
celebrazioni per il decennale della missione Apollo 11 ebbi il piacere di intervistare l’astronauta Michael Collins
(1). Ricordo che in quell’occasione ne apprezzai la solidità umana, tecnica e
psicologica. Sul palco era presente anche Cristiano
Batalli-Cosmovici (2).
D. Lei cura il mensile “Le Stelle”, quali sono le principali caratteristiche
di una rivista così prestigiosa?
R. Intanto quella di dare ai
lettori la possibilità di leggere testi scritti da firme riconosciute. Il tasso
di preparazione è decisamente alto, molto distante rispetto a quello visto agli
esordi della divulgazione scientifica e della quale abbiamo già parlato.
A questo si aggiunga anche una
caratteristica che però è dei nostri lettori. Molti dei nostri abbonati e
lettori vedono in “Le Stelle” non
solo un prodotto editoriale specializzato, ma un vero e proprio oggetto da
collezione. Molti lo acquistano non solo per informarsi e approfondire, ma
anche per il piacere di possederlo nella propria biblioteca.
D. Terminiamo l’intervista con una domanda d’obbligo. Qual è la sua
definizione di divulgazione?
R. Avere una buona notizia
scientifica e fare capire cosa cambia nella tua vita con parole tue.
Emmanuele Macaluso
Note:
(1) Michael Collins, era un
membro della missione Apollo 11. Dei tre membri dell’equipaggio, fu l’unico che
non mise piede sulla Luna, rimanendo sul modulo di comando e servizio (CSM) in
orbita attorno al nostro satellite naturale.
(2) Cristiano
Batalli-Cosmovici è stato uno dei candidati dell’Italia ad essere proposto
all’ESA per diventare astronauta. È autore di circa 200 documenti di ricerca ed
è attualmente direttore della ricerca in bioastronomia all’Istituto per le
Scienze Planetarie (CNR) a Roma.
Un ringraziamento ad Antonio
Lo Campo per aver creato le condizioni all’incontro tra lo scrivente e il Dott.
Bianucci.