martedì 14 luglio 2015

ASTRONAUTICA: OGGI E’ IL GIORNO DI “NEW HORIZONS” E DI PLUTONE



C’è voluto un viaggio lungo 9 anni, in cui sono stati percorsi 3 miliardi di km per arrivare ad oggi, 14 luglio 2015. Oggi la sonda “New Horizons” passerà nel punto più vicino al pianeta nano del sistema solare e al culmine della sua missione scatterà foto che saranno inviate alla sua base operativa.
Nella sonda New Horizons non c’è spazio solo per le macchine fotografiche e per le strumentazioni scientifiche. Non tutti sanno che la sonda non ha viaggiato da sola, ma che a bordo ha un passeggero d’eccezione. Clyde Tombaugh è stato l’astronomo statunitense che nel 1930 scoprì Plutone. Le sue ceneri sono state raccolte in un’urna e sono state posizionate a bordo di questa missione.
La grande tecnica lascia ancora posto ad un po’ di quel romanticismo dal grande potere comunicativo.
Già nelle scorse ore sono arrivate le prime foto ravvicinate di “Pluto” e abbiamo potuto osservare la differenza tra il pianeta nano e la sua luna più grande.
In queste ore, New Horizons entrerà nell’orbita e scatterà le sue immagini a colori da una distanza di 12.500 Km  ad una velocità di circa 50.000 Km all’ora. Le foto saranno inviate alla base sulla Terra e condivise con il pubblico.
Plutone rappresenta da oggi il limite massimo raggiunto da un “nostro” oggetto attivo inviato nello spazio.

Emmanuele Macaluso

venerdì 10 luglio 2015

RECENSIONE: “TUTTO IN UN ISTANTE” di Maurizio Cheli



(Credit Photo Copyright Emmanuele Macaluso - TheCosmobserver)

Inauguriamo questa sezione del blog con la recensione di un libro dal grande valore divulgativo. “Tutto in un istante” è il libro che non ti aspetti.

Non è il “classico” libro nel quale l’astronauta di turno ci racconta la sua epopea spaziale cercando di semplificare la sua esposizione, ma il racconto di un’epopea umana e professionale.

È la storia di un bambino, che da Zocca (il paese di Vasco Rossi, e soprattutto di Maurizio Cheli), parte per l’Accademia Aeronautica e diventa pilota e collaudatore, il tutto per varcare la soglia della Nasa ed entrare in una élite di poco più di 500 persone.

Da pilota, ad aspirante astronauta e infine ad astronauta a bordo della missione STS-75.

C’è la storia del suo viaggio nello spazio, ricco di particolari “umani” e in alcuni casi divertenti. Dopo l’avventura sullo Space Shuttle, un’altra scelta lo riporta in Italia, a sviluppare come capo collaudatore il caccia militare più estremo attualmente in servizio: l’Eurofighter Typhoon.

E infine la sua ultima sfida che lo vede come imprenditore alla continua ricerca del suo sogno: quello di volare, non importa in quale direzione.

Un libro ricco di aneddoti, curiosità, viaggi all’interno del carattere e della visione del mondo di una persona fuori dal comune e parallelamente simile a tutti noi.

Un libro che sorprende fin dal titolo. Tutto in un istante non è il momento della partenza verso lo spazio, anzi, non è neanche davvero un istante! Ma è l’insieme dei singoli istanti in cui una scelta ha condizionato la vita e la carriera di un uomo.

Il libro è corredato, alla fine di ogni capitolo, di una serie di esercizi e schede di valutazione che ci avvicinano a Maurizio. Questa sezione è curata da Marianne Merchez, grande professionista della formazione di altissimo livello e anch’essa selezionata come aspirante astronauta dall’ESA European Space Agency.

Un libro imperdibile per chi ama lo spazio, le grandi avventure che noi sogniamo e che solo alcuni uomini possono permettersi di condividere con noi. Una vera e propria opportunità di avvicinarci al cosmo e all’eccellenza umana.

Prossimamente pubblicheremo l’intervista che Maurizio Cheli ha rilasciato a The Cosmobserver.

Libro consigliato!

Titolo: Tutto in un istante
Sottotitolo: Le decisioni che tracciano il viaggio di una vita
Autore: Maurizio Cheli
Note di: Marianne Merchez
Pagine: 303 con foto a colori
Editore: Minerva Edizioni
Prezzo: € 18,00

mercoledì 27 maggio 2015

PERSONAGGI E PERSONALITA’: INTERVISTA AD ATTILIO FERRARI



Attilio Ferrari è un fisico e docente universitario. Attualmente è Presidente del Consorzio Interuniversitario per la Fisica Spaziale (CIFS), dell’Associazione ApritiCielo del Parco Astronomico INFINI.TO di Pino Torinese (To), Visiting Professor al Dipartimento di Astronomia e Astrofisica dell’Università di Chicago ed Research Affiliate al M.I.T. di Boston. È stato Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Torino e responsabile di progetti scientifici internazionali. Ha presieduto il Comitato organizzatore dell’International Year of Astronomy 2009 a Torino ed è un divulgatore scientifico.

Sono le due del pomeriggio, quando chiudendo la portiera della mia automobile sul parcheggio di Infini.To (il planetario di Torino), mi fermo per scattare una foto alla struttura prima di entrarvi per intervistare il Prof. Attilio Ferrari. Ho conosciuto il professore durante un corso di astrofisica, una delle sue tante attività di divulgazione, e in quell’occasione ho richiesto l’incontro che sto documentando in questo articolo. Entrato nella struttura, rimango colpito dalle gioiose “grida” che provengono dai piani sottostanti. Alcune scolaresche stanno partecipando a dei laboratori didattici e a quanto pare si stanno divertendo molto. Mentre mi accompagnano nell’ufficio del direttore mi domando se i ragazzi si stiano rendendo conto di quanto stiano imparando divertendosi, e di quanto siano fortunati a farlo in un luogo come quello che ci sta ospitando. I miei pensieri cambiano quando entro nell’ufficio del prof. Ferrari e mi devo concentrare sulle domande, ma ancora di più sulle risposte che riceverò.
Il Direttore mi invita a sedermi e chiude la porta per isolarci dalle “grida”, pur accorgendoci entrambi che è solo una scelta legata alla comodità della registrazione audio che mi serve per scrivere l’articolo e non per la volontà di “non essere disturbati”. Anzi, alle nostre orecchie quei suoni sono tranquillizzanti, ci danno speranza per il futuro.
Grazie anche a questo clima, la nostra intervista inizia in modo rilassato e informale.

D. Come e quando ha deciso di diventare un astrofisico
Ho frequentato il liceo classico al D’Azeglio con interessi più umanistici. Ho dato la maturità nel 1960. In quegli anni, la scienza “di moda” era la fisica nucleare. La scelta è avvenuta all’università, quando ho incontrato il fisico cosmico Gleb Wataghin (1) che mi ha indirizzato verso la scelta dell’astrofisica che stava ottenendo grandi risultati con i nuovi strumenti di osservazione. Credo che sia stato proprio quello il momento preciso che ha segnato la mia carriera, in quanto precedentemente non avevo avuto alcun background da astrofilo.

D. Quali sono gli ambiti di studio che ha sviluppato durante la sua carriera
Mi sono laureato con una tesi sulla relatività generale nel 1964. Gli ambiti si sono poi evoluti e mi hanno portato a studiare all’estero, soprattutto negli Stati Uniti d’America e in Inghilterra. Durante la mia carriera mi sono occupato di astrofisica delle stelle, di struttura stellare, astrofisica dei plasmi. Gli studi mi hanno portato nel 1968 all’università di Princeton. Tra l’altro in un anno molto importante per la fisica, perché proprio nel ’68 sono state scoperte le pulsar. Di seguito sono partito per il M.I.T. di Boston e poi sono rientrato in Italia dove ho continuato le mie ricerche e le mie attività.

D. Lei è Visiting Professor al Department of Astronomy and Astrophysics dell’Università di Chicago ed è Research Affiliate al “Centro dei Plasmi di Alta Energia” del M.I.T. di Boston. Quali sono le differenze di approccio allo studio e alla divulgazione che ha notato tra l’Italia e gli Stati Uniti d’America?
Fare un raffronto tra l’Italia e gli Stati Uniti non è facile. Direi che per quanto riguarda gli studi non c’è una grande differenza. I nostri studenti fanno bella figura quando si recano all’estero, in termini di preparazione e conoscenze. La differenza diventa visibile nella fase successiva, dal dottorato in poi. Questo perché il sistema universitario americano è molto più ricco del nostro, e agli studenti vengono messi a disposizione strumenti e risorse economiche decisamente superiori: e questo fa una bella differenza. Si aggiunga poi che le università americane compongono un sistema competitivo che porta l’attenzione e i finanziamenti degli investitori pubblici e privati negli atenei. In quel contesto, il prestigio delle università, dei suoi docenti e studenti porta benefici che possono essere valutati anche sul lungo periodo. Qui in Italia non fa differenza, tranne rare eccezioni, dove ti laurei, si dà attenzione al titolo raggiunto. In America l’ateneo che ti ha rilasciato la laurea ha un peso notevole.

D. Lei è stato direttore dell’Osservatorio Astronomico di Torino, quali sono le difficoltà e le soddisfazioni di un incarico così importante?
Quando sono diventato direttore dell’osservatorio le condizioni erano molto diverse da quelle di oggi. A quei tempi gli osservatori in Italia erano 12, direttamente sotto l’egida del Ministero della Ricerca (e continue varianti del nome successivi ndr). Io seguivo diverse attività. Le mie responsabilità spaziavano dall’aspetto amministrativo fino a quello scientifico e di gestione delle risorse umane. A questo proposito, molto spesso, scherzando, dico che il mio lavoro non era all’osservatorio ma “ad un ambulatorio”. Questo perché il mio lavoro consisteva anche nel motivare i membri del mio staff nell’andare avanti nelle ricerche e nelle altre attività dell’osservatorio.
Nella seconda metà degli anni ’90 la situazione è cambiata e l’osservatorio è diventato più indipendente dal punto di vista amministrativo. All’inizio degli anni 2000 è nato l’Istituto Nazionale di Astrofisica, purtroppo con una decina di anni di ritardo rispetto alle tempistiche auspicabili. Io ho seguito in prima persona questo grande cambiamento, che non è stato semplice, ma ora le cose vanno decisamente meglio.
Le soddisfazioni che ho avuto da quell’incarico sono molte. Molte delle “linee di ricerca” che ho voluto e seguito hanno avuto successo. All’Osservatorio Astrofisico di Torino ci sono gruppi che lavorano su campi di frontiera dalla fisica extragalattica, alla fisica solare e all’astrometria; tutti, stanno raggiungendo risultati notevoli e hanno un ruolo da protagonisti in vari progetti spaziali come GAIA, Solar Orbiter, Euclid (2).

D. Attualmente presiede l’associazione ApritiCielo e il Parco astronomico di Torino che gestisce Infini.To, il Planetario di Torino. Ci parli di questa attività e dei suoi obiettivi.
ApritiCielo è nata da una mia idea quando ero direttore dell’osservatorio. Sono convinto che i risultati degli enti di ricerca debbano essere divulgati sotto il controllo scientifico degli stessi ricercatori. Il Parco Astronomico di Torino vuole essere una “finestra” per dimostrare al mondo i risultati della ricerca astronomica torinese e non solo. L’inaugurazione è avvenuta nel 2007, ma l’idea è dei primi anni ’90. I primi soldi per gli studi di fattibilità sono arrivati nel 1997 e da allora l’avventura è partita.

D. Di solito chiedo sempre, a chi ha avuto la fortuna di vivere quel momento, come ha vissuto lo sbarco sulla Luna dell’Apollo 11. Ci racconta la sua esperienza?
Nel luglio del 1969 ero a Princeton. Quella sera ero appena tornato da Washinghton dove mi ero recato insieme alla mia famiglia. Vidi l’allunaggio attraverso lo schermo della mia televisione in bianco e nero insieme a mia moglie e mio figlio che ai tempi aveva un anno e mezzo (anche lui ora al M.I.T. di Boston ndr).
In quel periodo c’era grande euforia intorno alle missioni lunari. Qualche mese prima l’Apollo 8 aveva circumnavigato la Luna, con quella missione che ricorderemo per la prima foto della Terra vista dal nostro satellite. Il primo allunaggio fu una cosa eccezionale, e sebbene i media avessero messo in grande evidenza questo fatto storico, bisogna pensare che ai tempi gli organi di stampa erano solo i giornali, la radio e la televisione. Non esistevano il web e la tecnologia alla quale siamo ora abituati, e quindi non si era sottoposti all’odierno bombardamento mediatico.
Ai tempi dello sbarco avevo 28 anni, e l’ho vissuto con l’entusiasmo tipico di quell’età: l’idea comune era che ormai “non ci poteva fermare più nessuno” e che tutto sarebbe stato possibile, andare su altri pianeti e conquistare le stelle.
Una delle cose che ricordo con emozione è la telecronaca condotta da Walter Cronkite della CBS, che nel momento dell’allunaggio ripeteva eccitato la frase “Oh boy! Oh boy!”, una tipica espressione americana che potrebbe essere paragonata al nostro “accidenti!”.

D. Quali sono le prossime frontiere dell’astrofisica e in quale modo possono ricadere sulla società.
La fisica fa da “motivatore” alle altre scienze e ne è alla base. Si applica quindi anche all’astronomia e all’astronautica. Questa spinta motivazionale ha aiutato le altre scienze ad evolversi, e a raggiungere quei risultati tecnologici e di conoscenze con le quali entriamo in contatto quotidianamente. Pensate alle fotocamere, ai telefonini, ecc.
Credo che le prossime frontiere della fisica siano legate alla ricerca della comprensione di ciò che chiamiamo materia ed energia oscura. Soprattutto dopo che abbiamo scoperto che queste componenti non visibili superano di gran lunga quella visibile. Un altro ambito di interesse per il futuro sarà l studio della fusione nucleare controllata in laboratorio. Sono coinvolto in un progetto italo-russo per la costruzione di un reattore nucleare a fusione. Se funzionasse, si potrebbe avere un sistema capace di produrre una grande quantità di energia con un rilascio di scorie radioattive decisamente inferiore rispetto alla fissione.

D. Quali sono le sue attività da divulgatore previste per i prossimi mesi?
Sto scrivendo due libri. Il primo è dedicato ai bambini, il titolo non è stato ancora scelto, ma posso anticipare che darò 100 risposte a 100 domande sull’astrofisica. Il secondo è una raccolta delle conferenze che ho fatto negli ultimi cinque anni.
A questo bisogna aggiungere le attività di divulgazione che proponiamo al Planetario e le altre sul territorio.
Tra i miei prossimi progetti, mi piacerebbe avviare una serie di eventi con la logica del forum, dove il pubblico e i protagonisti condividano idee con la formula della cross-cultura, mettendo la fisica al confronto con altre discipline non solo scientifiche, anzi soprattutto umanistiche.

D. Qual è la cosa che consiglierebbe ad un giovane che vuole approcciarsi alla scienza e alla fisica in particolare?
Questa risposta inizia con una storia tratta da una vignetta: Un professore americano entra in un’aula durante uno di quegli incontri che si chiamano “open days”, durante i quali gli allievi possono fare delle domande ai docenti per decidere sulla scelta degli studi futuri. Dalla platea un ragazzo chiede quale sia la differenza tra l’astronomia e l’astrologia. Il professore risponde: “Nessuna, ci occupiamo delle stesse cose, solo che nell’astronomia la si fa con l’utilizzo di molta matematica.” A questa risposta l’aula si svuota velocemente.
Invece consiglierei di imparare molto bene la matematica e la fisica. Mi rendo conto che possano a prima vista avere un potere attrattivo inferiore rispetto ad altre discipline, ma sono il linguaggio alla base di tutte le scienze e ne danno seguito. Bisogna rendersi conto che danno le nozioni e il metodo fondamentali per affrontare qualunque campo scientifico e tecnologico. Bisogna mettersi lì con pazienza all’inizio, ma i benefici arriveranno senz’altro a tempo debito.
La risposta si conclude con una frase di Galileo, secondo il quale “Il libro della natura … è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente la parola”.

D. Concludiamo questa intervista con una sua definizione di divulgazione?
Divulgazione può essere definita in molti modi. Mi piace la parola inglese “dissemination”. Non è bella dal punto di vista letterario e del suono ma rende l’idea: seminare in giro, dovunque, per aiutare a comprendere e a pensare secondo il metodo scientifico. Il metodo scientifico è fondamentale perché aiuta a valutare in modo oggettivo i risultati di osservazioni e di esperimenti, e di proporre interpretazioni verificabili.

L’intervista si conclude con il rito della fotografia. Riapriamo la porta dell’ufficio e le “urla festose” non ci sono più. Ci aggiriamo per il Planetario vuoto e scegliamo il posto dove fare lo scatto. Il luogo è meno vivace rispetto al mio arrivo, ma domani è un altro giorno, e il planetario si rianimerà conservando durante la notte le sue meraviglie e i suoi segreti.

1) http://it.wikipedia.org/wiki/Gleb_Wataghin

2) http://it.wikipedia.org/wiki/Satellite_Gaia

giovedì 2 aprile 2015

PERSONAGGI E PERSONALITA': INTERVISTA AD ANTONIO LO CAMPO





Antonio Lo Campo è un giornalista e divulgatore scientifico specializzato nei temi dell’astronautica.
Da più di vent'anni svolge attività di giornalista free lance a tempo pieno, e collabora con i quotidiani "La Stampa", "Avvenire" e "La Gazzetta del Mezzogiorno", e per i mensili di astronomia "Nuovo Orione" (dove cura la rubrica “Cronache Spaziali”), e “Le Stelle”, e per altre testate giornalistiche nazionali di informazione scientifica.
E' autore di libri, tra i quali "Il ritorno sulla Luna" (Chiaramonte – Collegno (To), 1996), e "Storia dell'astronautica" (L'Airone – Roma, 2000), e altre opere editoriali.
Ha collaborato ad alcune trasmissioni Rai, compresa "Viaggio nel cosmo" di Piero Angela (1998), “Geo & Geo” e per altri programmi di educational. 
Da anni organizza e partecipa in qualità di relatore a conferenze scientifiche.
Ha incontrato e intervistato molti astronauti, di diverse nazionalità, compresi i tre dell'Apollo 11 e il pioniere americano John Glenn, oltre ad alcuni dei protagonisti delle prime missioni russe nello spazio.  Ha inoltre visitato centri di ricerca e basi spaziali in Italia e all'estero.
Oltre che di temi legati allo spazio, si occupa di tecnologie dei trasporti, in particolare per i settori aeronautico e ferroviario.





(Nella foto Antonio Lo Campo davanti ad una componente della Stazione Spaziale Internazionale. Credits foto Emmanuele Macaluso)

È un caldo pomeriggio di marzo, quando incontriamo Antonio Lo Campo presso lo storico Aero Club di Torino. Ci approcciamo a questa intervista in modo informale, mentre sullo sfondo aerei decollano e atterrano con una scenografia d’eccezione: le Alpi e gli stabilimenti Alenia Thales Space. Fin dall’inizio siamo colpiti non solo dalla sua enciclopedica conoscenza delle “questioni astronautiche”, ma dalla passione che riesce a trasmetterci e dalla forte carica umana.

D. Come e quando è nata la tua passione per lo spazio e l’astronautica.
R. La passione per l’astronautica è nata quando non avevo ancora compiuto 6 anni, eravamo nel 1971, e in quell’anno ci sono state delle importanti missioni lunari. Mi riferisco alle missioni Apollo 14 e Apollo 15.
È stato sicuramente anche merito del tempo che la TV investiva per la copertura di questi eventi e che rendevano naturale per un ragazzino approcciarsi all’astronautica e allo spazio. L’Apollo 14 venne coperta con una diretta di 12 ore e anche i giornali ne parlavano molto. Conservo ancora molti di quegli articoli, anche se all’epoca ero molto piccolo e quindi non ero un lettore, ma le immagini televisive hanno avuto un forte impatto.

D. Qual è la missione spaziale alla quale ti senti più legato emotivamente e professionalmente.
R. La missione alla quale sono particolarmente legato è la Apollo 14 perché è la prima che ricordo, e non a caso a questa missione ho dedicato un libro intitolato “ Il ritorno sulla Luna”.
Di questa missione ci si è un po’ dimenticati, è infatti semplice ricordarci del primo allunaggio (Apollo 11 – luglio 1969 ndr) e dell’Apollo 13 che rischiò di trasformarsi in tragedia. Un incidente che riportò l’attenzione del grande pubblico sull’astronautica. Io all’epoca ero molto piccolo, ma grazie a mia sorella – che era più grande di me – ho potuto seguire anche quell’epopea.
La missione Apollo 14 ha avuto il grande merito di “aver salvato” le missioni successive. Se anche “il 14” avesse fallito, il programma sarebbe stato chiuso in anticipo dalla NASA.
Oltre all’Apollo 14, e in generale a tutte le missioni di allunaggio, sono molto affezionato a tutte e dieci le missioni a cui hanno partecipato gli astronauti italiani. Per quanto riguarda queste, oltre a d un fattore professionale, c’è anche un fattore umano perché ho avuto l’opportunità di conoscere bene tutti i protagonisti di queste imprese. Dalla prima missione di Franco Malerba, quando avevo 26 anni e già scrivevo di astronautica, fino a quelle più recenti dei nostri astronauti.

D. Come ti spieghi il successo che ha il complottismo lunare.
R. Non credo che il “complottismo lunare” abbia successo. E' un successo “apparente” che coinvolge chi non conosce in modo approfondito le imprese spaziali e la scienza. Queste cose creano curiosità perché “fanno scalpore”. E null'altro. Ci sono poi altre ragioni: dietro al complottismo sulle questioni lunari ho notato anche un po’ di antiamericanismo, quindi questioni ideologiche alle quali si unisce un po’ di scalpore.
Io lo unisco molto anche alla questione dell’ufologia. Faccio parte di un’associazione ufologica che si chiama CISU (Centro Italiano Studi Ufologici ndr), e noi ci interessiamo a queste tematiche. Dal momento che siamo un gruppo che si occupa del fenomeno in modo scientifico e pragmatico “facciamo meno notizia” e quindi forse creiamo meno scalpore e curiosità. Ma pur sempre molto interesse.
Ci sono molte prove che dicono che sulla Luna ci siamo stati, eccome !
C’è addirittura un progetto che si sta sviluppando con fondi privati, il Google Lunar X Prize, promosso dal motore di ricerca web, che sta tentando di finanziare lanci di sonde automatiche progettate da università e enti di ricerca, che hanno tra i vari obiettivi quello di fotografare il luogo di allunaggio di una delle missioni Apollo.
Quindi, oltre alle straordinarie  immagini che la sonda Lunar Reconnaissance Orbiter ci ha regalato dall’alto, tra non molto una sonda andrà ad esplorare una zona di allunaggio.
In più, durante la missione Apollo 11, attorno la Luna orbitava il satellite russo “Luna 15”. in Italia lo chiamavamo “Lunik 15” perché avevamo l’abitudine di far finire i nomi delle sonde russe con le lettere “ik”, dal nome del celebre Sputnik.  E quella sonda fotografò l'Apollo 11.

D. Quali sono gli astronauti che hai avuto l’opportunità di intervistare e quale intervista ti ha emozionato di più.
R. Ogni volta che ho un astronauta di fronte mi emoziono. È ovvio che, per amicizia e stima, è sempre un grande piacere intervistare e incontrare gli astronauti italiani.
Così come è ovvio che quando incontri i “grandi pionieri” dello spazio, quelli delle missioni Apollo che si guardavano dallo schermo in bianco e nero delle televisioni, c’è sempre un’emozione particolare.
Sono particolarmente legato ad una foto che mi hanno scattato con Buzz Aldrin durante un incontro, nella quale  siamo stati immortalati mentre stavamo parlando amabilmente.
Mi ha emozionato molto anche l’incontro con Pete Conrad (Apollo 12 ndr), della seconda missione sulla Luna. Anche se parlare di “secondo” arrivato sulla Luna non ha molto senso. Tutti quei protagonisti fanno parte di un club così esclusivo da non aver bisogno di numeri ordinali. E poi il grandissimo, come uomo e astronauta, Gene Cernan, l'ultimo uomo sulla Luna, e altri.
Sono scesi in 12, e in 24 hanno girato attorno alla Luna.
Pete Conrad, purtroppo deceduto nel 1999, era un grande appassionato di motori e in particolare della Ferrari. Una volta, mentre sorseggiavamo un aperitivo, guardando una cartina dell’Italia mi ha chiesto, con il suo accento anglosassone, di indicargli l’ubicazione di Maranello.

D. Perché è importante investire nell’astronautica.
R. L’astronautica è molto importante ed è attorno a noi nella vita quotidiana, anche se molti non lo sanno. Il cosiddetto spin-off scientifico e tecnologico ha avuto, e ha tutt’ora, ricadute straordinarie.
Basti pensare che dalle missioni Apollo, oltre alla conquista della Luna e al fatto che gli americani hanno battuto i russi, sono derivati più di 160.000 brevetti.
Dalle cose più banali, come ad esempio un normale orologio digitale, alla valvolina impiegata per una pentola a pressione o i doposci ispirati agli “scarponi” di Neil Armstrong, fino a cose più complesse come l’avionica e i programmi di volo degli aerei. Per non parlare dei progressi che ha dovuto fare l’informatica per essere al passo con i voli spaziali.
Attualmente, la nostra Samantha Cristoforetti, sulla ISS con la missione “Futura”, sta seguendo personalmente 10 esperimenti scientifici e tecnologici. A questi bisogna aggiungerne altri che sta realizzando in partnership con altri astronauti. Sulla Stazione vi sono in  totale di oltre 200 esperimenti complessivi di missione.
Le ricadute scientifiche degli esperimenti medici svolti in assenza di peso e microgravità avranno ricadute importantissime. Si pensi agli esperimenti sull’osteoporosi e alla ricerca di cure di malattie come il diabete e altre patologie.
E a tutto questo dobbiamo aggiungere l’aspetto tecnologico. I satelliti ci danno indicazioni sempre più precise sul meteo, ci permettono di muoverci utilizzando i navigatori e molto altro.

D. In questo momento Samantha Cristoforetti è a bordo della ISS (International Space Station – Stazione Spaziale Internazionale ndr), e fino a pochi mesi fa abbiamo potuto vivere l’esperienza di Luca Parmitano attraverso i social. Gli stessi astronauti vengo addestrati ad essere dei comunicatori e divulgatori. Perché è così importante l’aspetto comunicativo per le agenzie spaziali.
R. Comunicare e divulgare è molto importante. L’astronauta deve saper comunicare, al punto che l’ESA ha attivato un comparto che si occupa di supportare gli astronauti nella comunicazione. La divulgazione delle attività astronautiche con il grande pubblico e il suo supporto oggi è fondamentale.
A proposito di comunicazione, lo dico con un certo orgoglio, da giornalista, noi italiani abbiamo mandato nello spazio addirittura un “collega”. Il nostro Franco Malerba infatti è anche un giornalista pubblicista, anche se lo è diventato dopo la missione.

D. Quali sono le prossime tappe dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana)
R. L’Italia è il terzo Paese europeo in termini di contributi verso l’ESA e svolge un ruolo da protagonista. Oltre alla collaborazione con l’ESA, l’ASI sta sviluppando un progetto insieme all’agenzia spaziale cinese che ha come obiettivo la creazione di un satellite per lo studio dei terremoti. Ma un grande e suggestivo programma, ormai imminente, è ExoMars, che l'ESA realizza con l'agenzia spaziale russa: due sonde che verranno lanciate la prima nel 2016 e la successiva nel 2018. La prima farà atterrare un modulo d'atterraggio fisso, lo Schiaparelli, la seconda un rover che non avrà nulla da invidiare da quelli americani. I nostri centri di ricerca e le aziende sono mobilitate al meglio per questa doppia missione che andrà a caccia di forme di vita, sia pure biologica, su Marte.

D. Attualmente ci sono astronauti italiani in addestramento?
R. Attualmente no, almeno non dopo le due missioni consecutive di Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti. In futuro è molto probabile che questo accada ancora: i nostri astronauti d'altra parte rappresentano anche il grande contributo del nostro paese alle attività spaziali.

D. Prevedi un ritorno dell’uomo sulla Luna a breve?
R. I cinesi sono i favoriti, ad oggi, per essere i prossimi ad andare sulla Luna. A questo si aggiunga anche la costruzione di una loro stazione spaziale che dovrebbe essere pronta per il 2022/23.
Gli americani e l’ESA stanno invece spostando l’attenzione verso gli asteroidi e Marte, quindi gli obiettivi sono diversi, anche se la Luna offrirebbe una maggiore facilità di partenza verso questi obiettivi a causa della minore forza di gravità.

D. A proposito di Marte, se ne è parlato molto come “nuova frontiera” dell’astronautica. E’ davvero una meta “fattibile” dal punto di vista tecnico e finanziario?
R. Si e il “profeta” di questa visione ha anche un nome e un cognome: Robert Zubrin, presidente della Mars Society. Ho avuto la possibilità di intervistarlo grazie ad un convegno organizzato  dalla Mars Society Italia.
Zubrin ha dichiarato che potremmo decidere anche domani di andare verso Marte. Secondo lui si potrebbe azzardare una strategia suddivisa in 2 step.
In prima battuta si invierebbero su Marte dei moduli per la costruzione della colonia e dei servizi di sussistenza, come ad esempio l’ossigeno, i moduli abitativi ecc.
In un secondo momento, con la “finestra successiva” verrebbero inviati gli astronauti, tenendo conto che per il viaggio di andata ci vorranno all’incirca 9/10 mesi, ai quali vanno aggiunti i mesi di permanenza e i tempi di ritorno. Un paio di anni in tutto.
La difficoltà attualmente sta nel reperire i fondi per questa avventura.

D. Quali sono i tuoi prossimi progetti editoriali ?
R.  Sono impegnato in qualche iniziativa editoriale, tra le quali una insieme al Prof. Walter Ferreri, ed un'altra insieme al primo astronauta italiano, Franco Malerba.

D. Sei un divulgatore scientifico, al termine dell’intervista, chiedo sempre ai “colleghi” di regalarci una definizione “propria” della divulgazione scientifica.
R. Il divulgatore è colui che traduce con termini alla portata di tutti i temi che tratta. Che sia il ragazzino delle elementari, la casalinga di Voghera o il professionista affermato, tutti hanno il diritto di comprendere quello che il divulgatore comunica.
L’astronautica è un tema stimolante e quindi è un po’ più facile trasmettere le informazioni e la passione. Perché credo che sia importante, oltre alle nozioni tecniche condividere anche la passione per il nostro lavoro e lo spazio.

E. Macaluso

* Intervista al Prof. Walter Ferreri